La Corte di Cassazione ha ribadito che il giudice di merito deve sempre esaminare in concreto la gravità dell’infrazione sotto il profilo oggettivo e soggettivo e sotto quello della futura affidabilità del dipendente circa la prestazione dedotta in contratto.
La Corte d’appello di Potenza, in totale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato all’appellante e condannava la società a reintegrarlo nel posto di lavoro. Secondo i giudici d’appello, l’addebito disciplinare contestato al lavoratore – consistente nel rifiuto, nella sua qualità di tecnico reperibile e responsabile dell’emergenza, di attivarsi a fronte di due successive sollecitazioni di intervento per un calo di pressione e una fuga di gas – rientrava nel novero di quelli che l’art. 55 CCNL settore Energia e Petrolio sanzionava, puniva, in difetto di recidiva, con una sanzione conservativa e non espulsiva.
Il quarto motivo di ricorso in Cassazione è stato considerato fondato. È noto infatti che, proprio perché quella di giusta causa o giustificato motivo è una nozione legale, la previsione della contrattazione collettiva non vincola il giudice di merito. Egli – anzi – ha il dovere, in primo luogo, di controllare la rispondenza delle pattuizioni collettive disciplinari al disposto dell’art. 2106 c.c. sulle sanzioni disciplinari e rilevare la nullità di quelle che prevedono come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento condotte per loro natura assoggettabili, secondo la disciplina codicistica, solo ad eventuali sanzioni conservative. Il giudice non può – invece – fare l’inverso, cioè estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti.
In breve, va sempre in concreto esaminata la gravità dell’infrazione sotto il profilo oggettivo e soggettivo e sotto quello della futura affidabilità del dipendente circa la prestazione dedotta in contratto.
La sentenza impugnata ha ricondotto l’infrazione disciplinare all’ipotesi prevista dall’art. 55 cit. CCNL, parte III lett. g), che punisce con il licenziamento la recidiva di “atti che portino pregiudizio alla produzione, alla disciplina, alla morale, all’igiene ed alla sicurezza delle persone e degli impianti”, recidiva insussistente nel caso in esame.
Ma la sentenza ha tralasciato di esaminare quella parte della stessa clausola contrattuale che prevede, in alternativa alla recidiva, anche il caso di particolare gravità (v. comma 1 parte III dell’art. 55 cit.) come passibile di sanzione espulsiva. Del pari ha trascurato il comma 1 parte IV dello stesso art. 55 cit., che prevede il licenziamento senza preavviso, fra l’altro, anche per “gravi infrazioni alla disciplina o alla diligenza nel lavoro”.
Ne discende la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, che dovrà valutare se la condotta addebitata al dipendente sia suscettibile di essere in astratto sussunta nella previsione contrattuale e, in caso di esito affermativo, dovrà apprezzare in concreto la gravità del comportamento del lavoratore in relazione alle circostanze oggettive e soggettive del suo operato e alla futura affidabilità del dipendente nell’eseguire la prestazione dedotta in contratto.