Il lavoratore assunto a titolo di avviamento agevolato al lavoro dei soggetti invalidi può essere legittimamente licenziato solo quando l’aggravarsi delle sue condizioni di salute impediscano di utilizzarlo in qualunque attività della realtà aziendale.
La Corte di appello di Cagliari ha riformato la pronuncia del Tribunale della stessa città, dichiarando ingiustificato il licenziamento del dipendente – assunto originariamente a titolo di avviamento agevolato al lavoro dei soggetti invalidi ai sensi della legge n. 68/1999 – per giustificato motivo oggettivo a causa dell’aggravamento delle condizioni di salute che rendeva impossibile il suo utilizzo in qualsiasi attività aziendale.
La Corte territoriale ha ritenuto fondato l’appello del lavoratore, sottolineando che il principio secondo cui la sopravvenuta inidoneità fisica integri una impossibilità oggettiva della prestazione si applica alla generalità dei rapporti di lavoro ma non a quelli costituiti a titolo di avviamento privilegiato degli invalidi ai sensi della legge n. 68/1999. Inoltre ha specificato che il giudizio emesso dalla Commissione istituita ex lege n. 104/1992 e quello emesso dal Servizio di prevenzione e sicurezza sul lavoro della ASL ai sensi dell’art. 41 comma IV legge n. 81/2008, si erano pronunciati sull’idoneità del dipendente allo svolgimento della mansione di operario di 2° livello con mansioni di aiuto meccanico, sia pure con particolari esclusioni, e dall’istruttoria espletata non era emersa l’impossibilità di un utilizzo del lavoratore.
Il ricorso della società datrice di lavoro è stato respinto, in quanto secondo la Cassazione, la Corte territoriale ha dato, in realtà, continuità all’indirizzo espresso dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione secondo cui “il licenziamento dell’invalido, assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio, è legittimo solo in presenza della perdita totale della capacità lavorativa, ovvero di una situazione di pericolo per la salute e l’incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, il cui accertamento compete all’apposita commissione medica prevista dalla legge n. 104 del 1992, cui spetta, altresì, la verifica dell’impossibilità di reinserire, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, il disabile all’interno dell’azienda” e, nel caso in esame, dall’istruttoria non è emersa l’impossibilità di un utilizzo limitato del lavoratore nella realtà aziendale, pertanto, non poteva parlarsi di impossibilità del reimpiego del lavoratore all’interno dell’azienda complessivamente considerata, né erano ravvisabili situazioni di pericolo o di rischio essendo stato l’accertamento della Commissione medica reso con piena cognizione della realtà aziendale.
Non è risultato poi, esserci contrasto tra l’art. 10, co. 3, legge n. 68/1999, nell’interpretazione adottata dai giudici di merito, secondo cui il giudizio delle Commissioni mediche ex art. 4 legge n. 104/1992 vincolerebbe il datore di lavoro a rispettarlo, con il rischio di quest’ultimo di violare il particolare dovere di non adibire il lavoratore a mansioni incompatibili con il suo stato fisico ex art. 2087 cc, e quest’ultima disposizione, in quanto la normativa di cui alla legge n. 68/1999, è speciale rispetto alla norma ordinaria del codice civile, sia con riguardo alla competenza della commissione sia con riguardo alle verifiche e agli accertamenti ad essa demandati.