La presunzione legale (relativa) fatta valere dall’Ufficio dell’Agenzia delle entrate che presumeva la mancanza di corrispondenza tra i versamenti sul conto corrente e le fatture emesse dal, assoggettando ad Irpef e Irap i maggiori compensi del professionista viene superata da quest’ultimo mediante la produzione di documentazione costituita da tabulati (CORTE DI CASSAZIONE – Sez. trib. – Sentenza 22 marzo 2017, n. 7281).
La fattispecie
L’Agenzia delle Entrate emetteva a carico del professionista, esercente attività di medico odontoiatra, tre avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2004, 2005 e 2006, con i quali, sulla base delle risultanze dei conti correnti bancari, accertava la sussistenza di maggiori compensi con applicazione delle corrispondenti imposte Irpef ed Irap.
Contro gli avvisi di accertamento il contribuente proponeva ricorso alla CTP di Reggio Emilia che lo accoglieva con sentenza, contro la quale l’Agenzia delle Entrate a sua volta proponeva appello alla CTR che lo rigettava.
Il giudice di appello affermava che il contribuente, mediante la produzione di documentazione costituita da tabulati, aveva superato la presunzione legale (relativa) fatta valere dall’Ufficio; non riscontrava la mancanza di corrispondenza tra i versamenti sul conto corrente e le fatture corrispondenti agli anni 2004, 2005 e 2006, considerato che “il contribuente ha provato che per l’esercizio 2004 ha emesso fatture per euro 276.547 ed ha effettuato versamenti sul conto per euro 270.997; per l’esercizio 2005 ha emesso fatture per euro 306.641 ed ha effettuato versamenti per euro 308.223; per l’esercizio 2006 ha emesso fatture per euro 333.453 ed ha effettuato versamenti per euro 330.365.”.
Il ricorso in cassazione
Avverso la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso alla Suprema Corte, con unico motivo, per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5 cod.proc.civ., ma per la Suprema Corte il ricorso è inammissibile.
Con riferimento all’ambito applicativo del vizio di omesso esame previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., questa Corte ha stabilito che il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La ricorrente non ha assolto tale onere.
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