L’amministratore di società che opera nel settore dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande e di attività di intrattenimento e svago, non può essere considerato in possesso del requisito professionale per l’avvio e l’esercizio di attività di commercio al dettaglio di generi alimentari e per la somministrazione di alimenti e bevande se non risulta iscritto all’INPS per almeno due anni negli ultimi cinque. (MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO – Risoluzione 24 febbraio 2017 n. 66623)
Il soggetto in esame ha esibito prova della propria attività lavorativa tramite busta paga con inquadramento co.co.co con data di assunzione dal 30-12-2008, nonché tramite iscrizione INAIL, laddove però non sono evidenziate le ore lavorative, né la qualifica ricoperta, inoltre, il medesimo soggetto risulta iscritto alla gestione separata INPS dall’1-6-2015, con la conseguenza che non risulterebbe maturato il periodo necessario all’acquisizione del requisito professionale.
La normativa prevede che l’esercizio, in qualsiasi forma e limitatamente all’alimentazione umana, di un’attività di commercio al dettaglio relativa al settore merceologico alimentare o di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande tra l’altro è consentito a chi per almeno due anni, anche non continuativi, nel quinquennio precedente, ha esercitato in proprio attività d’impresa nel settore alimentare o nel settore della somministrazione di alimenti e bevande o avere prestato la propria opera, presso tali imprese, in qualità di dipendente qualificato, addetto alla vendita o all’amministrazione o alla preparazione degli alimenti, o in qualità di socio lavoratore o in altre posizioni equivalenti o, se trattasi di coniuge, parente o affne, entro il terzo grado dell’imprenditore, in qualità di coadiutore familiare, comprovata dalla iscrizione all’Istituto nazionale per la previdenza sociale.
Il dettato normativo richiede espressamente la condizione di “dipendente qualificato” e, altresì, che tale qualifica sia debitamente comprovata dalla iscrizione all’INPS.
Il soggetto in questione è inquadrato come co.co.co (contratto di collaborazione coordinata e continuativa).
I co.co.co. definiscono il lavoratore non come un dipendente ma come un collaboratore autonomo, con la conseguenza che il medesimo gode di più ampia autonomia organizzativa circa le modalità, il tempo e il luogo dell’adempimento, quasi al pari di un libero professionista.
Pertanto, il lavoratore assunto con contratto co.co.co. non può considerarsi ai fini lavorativi un “dipendente” e di conseguenza la pratica professionale svolta non può dare luogo all’acquisizione del titolo professionale indispensabile per l’esercizio dell’attività di commercio al dettaglio di generi alimentari e per la somministrazione di alimenti e bevande.
Nulla vieta però che il Comune, nella propria autonoma valutazione e previa specifica verifica delle caratteristiche del rapporto contrattuale, accertato il carattere di prevalenza, qualificazione e durata della prestazione contrattuale (ivi compresa una presenza nel luogo di lavoro comparabile mediamente a più del 50% di quella di un lavoratore a tempo pieno e indeterminato, comprovata anche da regolare iscrizione previdenziale), possa riconoscere, comunque, alla prestazione stessa un valore qualificante, tenuto conto della necessità di interpretare la norma in termini tali da non renderla illegittima per violazione dei principi costituzionali di equità e ragionevolezza e tenuto conto del quadro normativo complessivo che dalla stessa deriva che, ad esempio, già qualifica a questi fini come equivalente alla prestazione di lavoro dipendente quella del socio lavoratore e del coadiutore familiare.
In virtù di quanto sopra esposto, stante la circostanza che il soggetto in discorso non risulta iscritto all’INPS per almeno due anni negli ultimi cinque, non può che rilevarsi il non maturamento del periodo necessario all’acquisizione del requisito professionale.
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