Il verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale è annullabile se la società datrice di lavoro si rende responsabile di una condotta tale da integrare un dolo omissivo in danno del proprio dipendente, il quale può considerarsi “raggirato” (Cassazione n. 8260/2017).
La Corte d’appello rigettava l’appello contro la sentenza di primo grado, con cui era stata respinta la domanda del dipendente licenziato di annullamento del verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale per vizio del consenso derivante da dolo della datrice di lavoro o comunque da errore, con conseguente richiesta di inefficacia del licenziamento intimato. La Corte territoriale condivideva la mancata prova circa la sussistenza di raggiri da parte della società datrice di lavoro nell’indurre il lavoratore alla firma del verbale di formalizzazione di accettazione del licenziamento, in esito all’accordo sindacale, nell’ambito della procedura di mobilità aperta per un’eccedenza di posizioni lavorative, tra cui la propria, sull’assunto dell’inesistenza, solo successivamente scoperta, della soppressione della propria posizione lavorativa.
Fra i motivi di ricorso, la Cassazione ha reputato opportuno avviare l’esame dal terzo motivo, in quanto fondato in riferimento alla denuncia di dolo, quale errore di diritto conseguente all’omessa valutazione da parte della Corte territoriale dell’idoneità della condotta della società datrice (che nella lettera di apertura della procedura di mobilità, aveva a suo tempo espressamente incluso la posizione del dipendente tra quelle eccedentarie, salvo poi, poco tempo dopo, assumere altro lavoratore per la medesima posizione) a trarre in inganno il lavoratore sulla sua stessa posizione lavorativa. Anche una condotta di silenzio malizioso può essere in grado di integrare un raggiro. Infatti, il silenzio serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, costituisce, per l’ordinamento penale, elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo. Non diversamente, nel contratto di lavoro, il silenzio serbato da una delle parti in ordine a situazioni di interesse della controparte e la reticenza, qualora l’inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito, determinando l’errore del deceptus, integrano gli estremi del dolo omissivo. Nelle ipotesi di dolo, inoltre, tanto commissivo quanto omissivo, gli artifici o i raggiri debbano essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni soggettive dell’altra parte, onde stabilirne l’idoneità a sorprendere una persona di normale diligenza, non potendo l’affidamento ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza.
In virtù di quanto argomentato, la Cassazione ha accolto il terzo motivo di ricorso, assorbito il primo e il quarto, e dichiarato inammissibile il secondo, cassando sentenza impugnata, e rinviando alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, per l’accertamento, alla luce dei suenunciati principi di diritto, dell’idoneità della condotta della società datrice ad integrare un dolo omissivo in danno del proprio dipendente, così da comportare l’annullamento del verbale di conciliazione sottoscritto tra le parti in sede sindacale, nell’ambito della procedura di mobilità.