Sebbene sia riconosciuto il mobbing da parte del datore di lavoro, è comunque legittimo il licenziamento del lavoratore per gli insulti al superiore e abbandono del posto di lavoro.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione pronunciandosi sul caso di un lavoratore che lamentava di aver subito una serie di vessazioni da parte dei superiori, vale a dire contestazioni per violazioni inesistenti, mancato pagamento di differenze retributive spettanti, trattenute ingiustificate in busta paga. Pertanto, le sue condizioni di salute peggioravano sempre di più, e al suo rifiuto di dimettersi, il datore aveva contestato l’abbandono del posto di lavoro, licenziandolo successivamente.
In primo grado, e poi in appello, i giudici respingevano le domande dirette a far dichiarare l’illegittimità del licenziamento, mentre accoglievano la domanda risarcitoria per mobbing.
Con ricorso in Cassazione il lavoratore sostiene che i medesimi giudici non hanno riconosciuto la connessione tra la domanda di illegittimità del licenziamento e quella di risarcimento danni, in quanto il licenziamento era – secondo lo stesso lavoratore – strettamente collegato con la condotta mobbizzante, costituendone un’ulteriore manifestazione.
Il ricorrente lamenta, ancora, l’omessa valutazione della rilevanza del numero e della congruità delle sanzioni inflitte rispetto ai fatti contestati, gli ultimi di fatto inesistenti, come l’abbandono del posto di lavoro che andava invece valutato nella sua concreta manifestazione, quale reazione immediata alle ingiuste accuse del superiore.
Degli addebiti oggetto della lettera di contestazione, la Corte d’appello ne ha offerto una valutazione di sussistenza e di gravità: rifiuto di presiedere al carico dell’automezzo, insulti in direzione del superiore responsabile della filiale, abbandono del posto di lavoro. Secondo la medesima Corte tali fatti non potevano ritenersi connessi alle condotte mobbizzanti precedentemente poste in essere e riconosciute in primo grado. I fatti contestati, dunque, erano di una gravità tale da ledere l’elemento fiduciario, per cui era legittimo il licenziamento.
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