In tema di licenziamento, la tempestività della contestazione disciplinare deve essere valutata non in base al momento in cui il datore di lavoro avrebbe potuto accorgersi dell’infrazione ma quando ne abbia acquisito piena conoscenza.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione pronunciandosi sul caso di un lavoratore licenziato per giustificato motivo soggettivo per aver manualmente inserito, nel sistema informatico, la presenza sul posto di lavoro per cinque giorni nonostante la fruizione di un periodo di ferie. Sia in primo grado che in appello, i giudici hanno respinto l’eccezione di tardività della contestazione disciplinare, ritenendo giustificato tale licenziamento a fronte della confessione del dipendente di aver intenzionalmente effettuato l’inserimento nel programma informatico con intento ritorsivo nei confronti del datore che non aveva accolto alcune sue istanze economiche.
In Cassazione, il lavoratore si sofferma sulla tardività della contestazione disciplinare, inoltrata al lavoratore dopo circa 4 mesi dalla conoscibilità della condotta contestata, potendo – il datore – già dal primo giorno di assenza del lavoratore rilevare l’assenza di indicazioni nel sistema informatico.
Al riguardo, come più volte affermato dalla Suprema Corte, la discrezionalità del giudice nel valutare la tempestività della contestazione disciplinare deve svolgersi nell’ambito dei presupposti alla base del principio dell’immediatezza della contestazione, ossia del riconoscimento del pieno ed effettivo diritto di difesa garantito “ex lege” al lavoratore e dei comportamento datoriale secondo buona fede.
Il concetto di tempestività della contestazione deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo necessario, in relazione al caso concreto e alla complessità dell’organizzazione del datore di lavoro, per un adeguato accertamento e una precisa valutazione dei fatti.
Nel caso in questione, i giudici hanno dimostrato di aver correttamente applicato il principio dell’immediatezza, rapportandolo alla circostanza di fatto adeguatamente scrutinata e rilevando che lo spazio temporale intercorso tra la conoscenza dei fatti e la loro contestazione non era risultato di ostacolo al pieno esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore, essendo, viceversa, del tutto compatibile con l’esigenza di pervenire ad un completo accertamento della verità dei fatti.
Il datore di lavoro ha il potere ma non l’obbligo di controllare in modo continuo i propri dipendenti, contestando loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un simile obbligo, non previsto dalla legge né desumibile dai principi del codice civile, negherebbe il carattere fiduciario del lavoro subordinato, sicché la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell’infrazione laddove avesse controllato assiduamente l’operato del dipendente, ma con riguardo all’epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza.
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