L’accertamento da studi di settore è rafforzato dal reddito esiguo



La Corte di Cassazione ha recentemente affermato che in caso di accertamento basato sugli studi di settore che rileva una discordanza tra reddito dichiarato e risultanze dell’applicazione dello studio, la presunzione legale di maggiori ricavi non dichiarati può risultare rafforzata dal reddito insufficiente al mantenimento della famiglia e dalla presenza di ingenti spese nell’anno verificato (Sentenza 26 aprile 2017, n. 10276).

FATTO


L’Agenzia delle Entrate ha emesso nei confronti del contribuente avviso di accertamento sulla base della rilevata incongruenza tra ricavi dichiarati e quelli accertati mediante applicazione degli studi di settore, all’esito del contraddittorio, rilevando altresì un reddito d’impresa talmente esiguo da essere insufficiente al mantenimento della famigli, oltre a spese rilevanti incompatibili con il reddito dichiarato.
I giudici tributari hanno accolto il ricorso del contribuente, ritenendo valida la tesi della non corrispondenza del risultato degli studi di settore alla capacità contributiva, e in particolare che le spese erano ricomprese nei costi aziendali e sostenute con denaro dell’azienda e che spettava all’amministrazione finanziaria provare l’utilizzo di uno speciale macchinario acquistato per soddisfare un cliente poi perso.

DECISIONE DELLA CASSAZIONE


Su ricorso dell’Agenzia delle Entrate i giudici della Suprema Corte hanno preliminarmente evidenziato che secondo consolidato orientamento della giurisprudenza gli studi di settore hanno valore presuntivo la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio. Laddove il contraddittorio risulti espletato, a carico dell’ente impositore grava il solo onere di dimostrare l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, spettando al contribuente invece provare la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo d’imposta esaminato.
La Corte Suprema, peraltro, osserva che, come nel caso di specie, ai fini della validità dell’accertamento, oltre alle discordanze dagli studi di settore, tenuto conto del regolare espletamento del contraddittorio, assumono particolare rilievo le circostanze oggettive riguardanti l’entità dei redditi dichiarati (reddito di impresa di appena 3.076,00 euro e reddito imponibile pari a zero), che non giustificavano neanche il mantenimento della famiglia (con coniuge e due figli a carico), e le spese comunque sostenute nel periodo di imposta in verifica (euro 36.450,00 per canoni di leasing ed oltre 44.000,00 euro per salari e stipendi).





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