In caso di detenzione di immobile inagibile ovvero non completo, ma iscritto in catasto, al fine di ottenere il riconoscimento dell’esenzione è necessario indicare nella denuncia originaria o di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità dell’immobile. Diversamente il beneficio è escluso, anche se la condizione di inagibilità è attestata da perizia giurata (Corte di Cassazione – Sentenza n. 10545 del 2017).
Nell’ambito di una controversia relativa all’accertamento della tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani su immobili inagibili, la Corte di Cassazione ha preliminarmente osservato che il presupposto impositivo della tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani (ta.r.s.u.) è l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti.
Restano esclusi dalla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione.
In altri termini, la normativa pone a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, mentre l’impossibilità dei locali o delle aree a produrre rifiuti per loro natura o per il particolare uso non può essere ritenuta in modo presunto dal giudice tributario, ma è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità dell’immobile, le quali, inoltre, devono essere debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione.
Confermando la decisione dei giudici tributari, dunque, la Corte Suprema ha respinto il ricorso del contribuente affermando che la detenzione degli immobili che risultano regolarmente accatastati costituisce il presupposto per l’applicazione della tassa ed il contribuente stesso, al fine di sottrarsi al relativo obbligo, ha l’obbligo di evidenziare con la prescritta dichiarazione gli elementi che escludono le condizioni di concreta inutilizzabilità (esempio, inagibilità per ristrutturazione).
Ne consegue che, anche in presenza di una circostanza di fatto di effettivo inutilizzo dell’immobile per inagibilità, la mancata indicazione di tale situazione nell’ambito della denuncia di detenzione dell’immobile al Comune, determina l’esclusione del beneficio di esenzione dalla tassa, risultando a tal fine irrilevante l’eventuale perizia giurata da cui si evince che gli immobili, pur essendo stati accatastati, non sono ultimati.
Altrettanto irrilevante risulta la sentenza favorevole al contribuente riguardo all’esclusione dell’ICI per il medesimo immobile e per la stessa annualità, motivata proprio dall’inagibilità del cespite. Al riguardo, i giudici della Suprema Corte hanno precisato che nel processo tributario l’efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardino tributi diversi (come nel caso di specie l’Ici e la Ta.r.s.u.), stante la diversità strutturale delle suddette imposte, oggettivamente differenti, ancorché la pretesa impositiva sia fondata sui medesimi presupposti di fatto.
Unica deroga a tale ultimo principio è prevista in materia di aree edificabili dall’art. 36, co. 2 del D.L. n. 223 del 2006 (conv. con modif. dalla L. n. 248 del 2006), secondo cui le imposte di registro e le imposte sul reddito sono tra loro collegate.
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