Secondo la Cassazione è illegittimo il licenziamento per giusta causa di un lavoratore part-time per mancato rispetto del Regolamento aziendale che prevede il divieto assoluto di svolgere un’altra attività lavorativa.
La Corte di appello, riformando la sentenza del Giudice del lavoro del locale Tribunale, ha rigettato la domanda proposta da un dipendente avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento per giusta causa intimato dal Patronato ENCAL. Al dipendente part-time, era stato contestato: di avere violato il Regolamento organico del personale, secondo cui con la qualità di dipendente ENCAL è incompatibile qualunque altro impiego sia pubblico che privato ed è pure incompatibile ogni altra occupazione o attività che non sia ritenuta conciliabile con l’osservanza dei doveri d’ufficio e con il decoro dell’ente; di essersi reso irreperibile alla visita medica di controllo; di essere rimasto ingiustificatamente assente dal posto di lavoro per non avere ottenuto l’autorizzazione a fruire del giorno di ferie.
Tuttavia, in Cassazione, il secondo motivo di ricorso è stato considerato fondato. La sentenza impugnata ha fondato il proprio convincimento sul fatto rappresentato dall’esercizio (in sé) di un’altra attività lavorativa, prestata dal dipendente del Patronato ENCAL in regime di part-time, al di fuori dell’orario di lavoro, osservando che il divieto contemplato dalla prima parte della suddetta disposizione ha carattere assoluto e non presenta spazi interpretativi di sorta che giustifichino l’inottemperanza allo stesso, a meno di munirsi di apposita autorizzazione.
Il motivo del ricorso per cassazione investe specificamente il passaggio argomentativo che ha ritenuto il carattere assoluto del divieto, a prescindere da qualsiasi verifica in concreto della incompatibilità. Invero, siffatta lettura della disposizione regolamentare non può essere accolta, se riferita ad un prestatore di lavoro in regime di part-time, non potendo il datore di lavoro disporre della facoltà del proprio dipendente di reperire un’occupazione diversa in orario compatibile con la prestazione di lavoro parziale; in tali casi, l’incompatibilità deve essere valutata dall’Ente in concreto.
Difatti, pure in presenza di due distinte proposizioni contenute nella previsione, l’unica interpretazione, dunque, che rende legittima la previsione regolamentare è quella che esige, anche per l’esercizio di un’attività lavorativa al di fuori dell’orario di lavoro, al pari delle altre “occupazioni o attività” di cui alla seconda proposizione della stessa norma, una verifica di incompatibilità in concreto tra l’esercizio della diversa attività e l’osservanza dei doveri d’ufficio o la conciliabilità con il decoro dell’Ente.
Inoltre, ammettere che il datore di lavoro abbia una facoltà incondizionata di negare l’autorizzazione o di sanzionare in sede disciplinare il fatto in sé dell’esercizio di un’altra attività lavorativa al di fuori dell’orario di lavoro sarebbe in contrasto con il principio del controllo giudiziale di tutti i poteri che il contratto di lavoro attribuisce al datore di lavoro, e proprio con riferimento ad aspetti incidenti sul diritto al lavoro. L’incompatibilità deve essere verificata caso per caso, proprio nei termini pretesi dal ricorrente, restando tale valutazione suscettibile di controllo, anche giudiziale.
Il ricorso è stato pertanto accolto e cassata la sentenza impugnata, rinviando la questione alla Corte di appello di Messina in diversa composizione (Cassazione, sentenza n. 13196/2017).