Reverse charge: chiarimenti sul regime sanzionatorio




Forniti chiarimenti sul nuovo trattamento sanzionatorio previsto per ogni tipo di violazione in materia di reverse charge (c.d. “inversione contabile”), fondato su un sistema di proporzionalità che prevede sanzioni più dure per quelle violazioni commesse con un intento di evasione o di frode oppure che comportano l’occultamento dell’operazione o un debito d’imposta, mentre vengono punite in modo più mite le fattispecie irregolari per le quali l’imposta risulta comunque assolta (Agenzia entrate – circolare 11 maggio 2017, n. 16 /E).

Per l’omissione degli adempimenti connessi all’applicazione del reverse charge, è prevista una sanzione in misura fissa, da un minimo di 500 euro fino a un massimo di 20.000 euro, purché l’omissione degli adempimenti connessi all’inversione contabile non occulti l’operazione, che risulta comunque dalla contabilità tenuta ai fini delle imposte sui redditi (per es. dal libro giornale o, per coloro che tengono la contabilità semplificata, dal registro degli acquisti). Se, al contrario, l’operazione non risulta dalla contabilità, è prevista la più grave sanzione proporzionale nella misura compresa tra il 5 e il 10 per cento dell’imponibile non documentato, con un minimo di 1.000 euro.
Se l’omissione degli adempimenti connessi all’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile comporta anche un’infedele dichiarazione oppure un’indebita detrazione IVA da parte del soggetto passivo d’imposta, ossia da parte del cessionario o committente, trovano applicazione anche le ordinarie sanzioni per dichiarazione infedele  e per illegittima detrazione dell’IVA.


In caso di errata applicazione dell’imposta in modo ordinario anziché mediante reverse charge, al committente o cessionario, è applicata una sanzione in misura fissa da un minimo di 250 euro fino a un massimo di 10.000 euro. Il cessionario o committente è punito con la più grave sanzione proporzionale nella misura compresa tra il novanta e il centoottanta per cento dell’imposta, se l’applicazione dell’IVA in modo ordinario anziché con l’inversione contabile è stata determinata da una finalità di evasione o frode di cui è provata la consapevolezza del medesimo cessionario o committente.


In caso di errata applicazione dell’imposta con il sistema dell’inversione contabile anziché nel modo ordinario, il cessionario o committente ha il diritto alla detrazione dell’imposta assolta irregolarmente con l’inversione contabile, mentre il cedente o prestatore non è obbligato all’assolvimento della stessa, ma è punito con la sanzione in misura fissa stabilita da un minimo di 250 euro a un massimo di 10.000 euro.
Laddove invece il cedente/prestatore non emette fattura o la emette senza IVA, o il cessionario/committente non assolve irregolarmente l’imposta tramite l’inversione contabile, non trova applicazione la sanzione. In tal caso, infatti, il cedente/prestatore è punibile con la sanzione ordinaria, per violazione degli obblighi di documentazione e registrazione di operazioni imponibili, mentre il cessionario o committente, è punibile con la sanzione per la mancata regolarizzazione dell’operazione.
La sanzione risulta applicabile con le regole ordinarie anche nei casi in cui la condotta sia determinata da un intento di evasione o di frode per il quale vi sia prova di consapevolezza da parte del cedente o prestatore.


Nell’ipotesi di errata applicazione del sistema dell’inversione contabile ad operazioni esenti, non imponibili, non soggette ad imposta o inesistenti, è previsto l’annullamento del debito d’imposta e della relativa detrazione. In sede di accertamento, infatti, vengono espunti sia il debito sia il credito d’imposta confluiti nella liquidazione periodica. In caso di operazioni inesistenti, però, è prevista una specifica sanzione, compresa tra il 5% e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro.





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