Società di comodo e start up




Una società in fase di start up che non supera il test di operatività non può considerarsi di comodo (Corte di Cassazione – Ordinanza 22 maggio 2017, n. 12829).

La Suprema Corte rinvia al giudice a quo per nuovo esame la sentenza impugnata dalla società contribuente, avverso la decisione della CTR e CTP che ne avevano respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRES.
In particolare, la CTR osservava che la società ricorrente non aveva assolto al proprio onere di contro provare alla presunzione legale di “non operatività” derivante dall’art. 30, comma 1, legge 724/1994.
La Corte di Cassazione sottolinea che «In materia di società di comodo, i parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto».
Il giudice tributario di appello non ha fatto corretta applicazione di tale principio di diritto e quindi della disposizione legislativa in oggetto, negando validità agli argomenti fattuali contro probatori proposti dalla società contribuente con una valutazione meritale del tutto sommaria, apodittica ed incompleta. In particolare la CTR non ha in alcun modo considerato la fase di start up nella quale si trovava ancora la società contribuente, allegata quale principale difesa da parte della medesima.
Ne deriva palesemente la “falsa applicazione” della disposizione antielusiva de qua, cui dovrà pertanto porre rimedio il giudice del rinvio.
La stessa Corte ribadisce poi che «In tema di imposta sul valore aggiunto (IVA), lo “status” di società non operativa risultante dall’applicazione dei parametri previsti dall’art. 30, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, non è permanente, ma va accertato anno per anno, ben potendo una società essere non operativa in un determinato esercizio sociale ed operativa in quello successivo, con la conseguenza, ai fini del divieto di rimborso posto dal comma 45 dell’art. 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che il calcolo effettuato in base ai parametri legislativi relativi alla dichiarazione di un solo anno è insufficiente a dedurre l’assoluta non operatività della società o la sua non operatività per il periodo oggetto della parametrazione».
La sentenza impugnata è tutt’affatto difforme da tale principio di diritto, posto appunto che ha valutato la “non operatività” della società contribuente non con riferimento ad un’altra annualità fiscale, bensì proprio a quella oggetto della verifica, limitando a ciò il suo giudizio di merito e perciò concretamente attuando il principio di diritto stesso.






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