Utilizzo di documenti aziendali riservati e licenziamento




La Corte di Cassazione – pronunciandosi sul caso di un lavoratore licenziato per aver fotocopiato documenti aziendali – ha ritenuto legittimo il recesso trattandosi di documenti riservati concernenti aspetti importanti e significativi dell’organizzazione produttiva dell’azienda.


Dunque, il recesso del dipendente in questione appariva legittimo posto che, nonostante l’intimazione a non farlo, lo stesso aveva sistematicamente utilizzato i modelli dei rapporti di turno imballaggio per riempirli di espressioni infondate e offensive nei confronti di colleghi e superiori. Doveva, poi, considerarsi la recidiva, pertanto il licenziamento era giustificato e proporzionale come sanzione; non si poteva considerarlo discriminatorio per ragioni sindacali perché sul punto nulla era emerso, nè era emersa una condotta mobbizzante del datore di lavoro in quanto non erano stati accertati comportamenti specificamente persecutori e prevaricatori, così come analizzato nelle ultime pagine della sentenza impugnata.
Secondo il lavoratore, l’avvenuta fotocopiatura del mansionario degli addetti era finalizzata alla sua difesa in quanto era stato a lungo dequalificato e non si trattava di un documento riservato. Peraltro, le finalità di tutela dei diritti doveva prevalere sul dovere di riservatezza.
Orbene, sul caso la Corte di Cassazione non ha accolto tale denuncia in quanto non si trattava dell’avvenuta fotocopiatura di un mero materiale riservato dell’azienda ma di istruzioni che contenevano specifiche informazioni relative al tipo di materie usate, le procedure e la strumentazione utilizzata dall’operatore di laboratorio, un vero e proprio know- how aziendale la cui riservatezza appare rafforzata dall’esigenza di non diffondere a terzi (tra i quali potrebbero rientrare soggetti che possono essere concorrenti) conoscenze che hanno un rilievo produttivo.
Dunque, non viene in rilievo un generico dovere di non divulgare documenti aziendali ma uno specifico obbligo a mantenere riservati documenti che riguardano anche aspetti importanti e significativi dell’organizzazione produttiva del datore di lavoro.
In merito all’accusa di mobbing – concludono i giudici – è stato escluso sia un intento persecutorio ai danni del dipendente sia che le scritte sul suo armadietto fossero ascrivibili in alcun modo, anche indirettamente alla responsabilità del datore.






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