Lavoratori in “nero” uguale maggiori ricavi non dichiarati



Con la recente Ordinanza n. 17833 del 19 luglio 2017, la Corte di Cassazione afferma il principio secondo il quale dall’accertamento dell’impiego di lavoratori in “nero” è possibile presumere maggiori ricavi non dichiarati sulla base del rapporto di diretta proporzionalità con i maggiori costi per dipendenti irregolari.

FATTO


In seguito all’accertamento di lavoratori irregolari da parte dell’ispettorato del lavoro, l’Agenzia delle Entrate ha rettificato in modo induttivo il reddito dell’impresa, determinando presuntivamente maggiori ricavi sulla base dei maggiori costi sostenuti per il personale in nero, in considerazione della tenuta solo parzialmente irregolare delle scritture contabili (libro-matricola e ritenute alla fonte).
I giudici tributari hanno accolto il ricorso dell’azienda ritenendo logicamente incongrua la correlazione maggiori costi per il personale uguale maggiori ricavi, sul rilievo che l’incremento dei ricavi non dipenderebbe dall’incremento della manodopera: se fosse esatto il principio affermato nei suoi avvisi dall’ufficio (essere i ricavi direttamente proporzionali al numero dei dipendenti ed alle spese per essi affrontate dai datori di lavoro), si sarebbe risolto ogni problema di disoccupazione e di crisi economica: raddoppiando i dipendenti (o i loro compensi) i datori di lavoro raddoppierebbero i ricavi (e quindi aumenterebbero gli utili). Purtroppo non è così e ciò fa capire l’errore di impostazione dell’ufficio.

DECISIONE DELLA CASSAZIONE


La Corte di Cassazione ha riformato la decisione dei giudici tributari affermando che in presenza di “forza-lavoro” non dichiarata il Fisco è legittimato ad avvalersi di presunzioni semplici purché dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza per rideterminazione dei ricavi.
In particolare, secondo i giudici della Suprema Corte, deve ritenersi corretto l’accertamento dei maggiori ricavi derivante dall’instaurazione della proporzione matematica:


[costo dei dipendenti dichiarati : ricavi dichiarati = costo complessivo dei dipendenti (anche irregolari) : X (maggiori ricavi accertati)]


dove tutti i fattori noti della proporzione costituiscono dati certi ed oggettivi in quanto di provenienza, dalla stessa contabilità sociale (ricavi ed oneri lavorativi dichiarati), e dai (minimi) parametri retributivi e contributivi applicabili per legge e contratto (costo del lavoro comprensivo dei dipendenti irregolari).
La ricostruzione presunta del reddito, peraltro, risulta supportata dal principio secondo il quale l’incremento della manodopera costituisce indice presuntivo della necessità di eseguire maggiori commesse e, pertanto, di maggiori ricavi. Dunque, l’assunzione irregolare dei dipendenti non costituiva la “causa” dei maggiori introiti, quanto “l’effetto” dei maggiori ordinativi (non risultanti dalla contabilità), che legittima l’accertamento induttivo.
Nella fattispecie, peraltro, la presunzione ha trovato supporto in ulteriori fatti noti, caratteristici del settore di attività in cui opera l’azienda, quali:
– la natura edilizia “di cantiere”, e non di sola fornitura di materiali edili, dell’attività svolta dalla società;
– l’inserimento organico dei dipendenti irregolari nel normale ciclo produttivo dell’impresa;
– la notorietà delle caratteristiche del mercato del lavoro nel campo dell’edilizia, comportanti una correlazione particolarmente stretta tra l’incremento di periodo delle commesse e l’acquisizione della manodopera necessaria per farvi fronte nel breve e medio termine;
– il numero dei dipendenti irregolari in rapporto alle maestranze organiche dichiarate.
In tali circostanze, afferma la Corte di Cassazione, diventa onere del contribuente superare il quadro presuntivo deducendo e dimostrando i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa tributaria, tenuto conto che, nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di stretta ed indefettibile necessità, ma è sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto secondo canoni anche soltanto di ragionevole probabilità.






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