Ai fini TARSU, il contribuente è soggetto alla tassa per i parcheggi, in quanto essi sono aree frequentate da persone e quindi produttive di rifiuti in via presuntiva, rimanendo a suo carico l’onere di provare con apposita denuncia ed idonea documentazione la sussistenza dei presupposti per l’esenzione (Corte di Cassazione – Sentenza 26 luglio 2017, n. 18500).
La Corte accoglie il ricorso del Comune, avverso la sentenza della CTR che, riformando la decisione della CTP, ha accolto l’appello proposto dal contribuente e ha affermato che, in materia di TARSU, non vi era prova alcuna che l’area scoperta di cui si discuteva fosse un’area operativa in via autonoma, essendo essa, invece, un’area accessoria a quella ove la società contribuente esercitava la sua attività di vendita dei prodotti; tale superficie, adibita a parcheggio per i clienti e ad area di manovra per i veicoli che trasportavano le merci, non era tassabile in quanto accessoria ad altra area già oggetto di tassazione.
Il ricorrente sostiene che la tassa è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle sole aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree verdi. Conseguentemente doveva ritenersi assoggettato a tassazione lo spazio pertinenziale dell’esercizio commerciale coperto da apposita tettoia adibito a parcheggio del supermercato e ad area per la movimentazione dei veicoli che trasportavano le merci in arrivo.
Inoltre, sostiene che i giudici di appello, invertendo la regola sull’onere della prova, hanno erroneamente affermato che doveva essere il Comune a provare l’idoneità di tali aree a produrre rifiuti ed hanno ritenuto, in particolare, che non vi era prova che l’area scoperta di cui si discuteva fosse un’area operativa in via autonoma laddove, invece, avrebbero dovuto ritenere che l’onere della prova della non idoneità delle aree a produrre rifiuti è posto in capo al detentore che deve presentare apposita dichiarazione o idonea documentazione.
La Suprema Corte osserva che i motivi di ricorso sono fondati.
La Corte di legittimità ha già affermato il principio secondo cui, in tema di Tarsu, l’imposta è dovuta per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, mentre le deroghe e le riduzioni delle tariffe non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti.
Nell’escludere dall’assoggettamento al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti – fra l’altro – “per il particolare uso cui sono stabilmente destinati”, il legislatore chiaramente esige che sia provata dal contribuente non solo la stabile destinazione dell’area ad un determinato uso (quale, nel caso di specie, il parcheggio), ma anche la circostanza che tale uso non comporta produzione di rifiuti. Ne deriva che la società contribuente è tenuta a pagare la tassa per i parcheggi in quanto essi sono aree frequentate da persone e quindi produttive di rifiuti in via presuntiva, rimanendo a suo carico l’onere di provare con apposita denuncia ed idonea documentazione la sussistenza dei presupposti per l’esenzione.
Nel caso che occupa la società contribuente ha ritenuto che l’area fosse esente dal pagamento della tassa per il solo fatto che essa costituiva pertinenza di area coperta assoggettata alla tassa stessa e non ha neppure dedotto di aver presentato la denuncia relativa alla sussistenza dei presupposti per l’esenzione.
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