Ai fini dell’accertamento sintetico, in relazione a spesa per incrementi patrimoniali, l’esborso per l’acquisto di un bene in comunione legale può legittimamente essere considerato dall’Amministrazione finanziaria come sostenuto esclusivamente dal partner che abbia da solo stipulato il contratto e pagato il prezzo, salva la prova contraria da parte del contribuente, atteso che dal regime della comunione legale non deriva alcuna presunzione relativamente alla provenienza comune delle somme utilizzate per i nuovi acquisti (CORTE DI CASSAZIONE – Sez. trib. – Sentenza 19 luglio 2017, n. 17806).
Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte la ricorrente ha impugnato dinanzi alla Ctp di Genova l’avviso di accertamento relativamente all’Irpef e all’Ilor, lamentando la nullità della notifica e contestando la rilevanza attribuita dall’Amministrazione finanziaria all’intero corrispettivo pagato – invece che alla sua metà – per l’immobile acquistato non in proprietà esclusiva, ma in comunione legale col coniuge. Il ricorso è stato rigettato dinanzi alla Ctr della Liguria. In sede di appello la ricorrente ha ribadito la nullità della notifica dell’atto impositivo e ha censurato la decisione di primo grado nella parte in cui ha escluso la rilevanza della comproprietà del bene.
Con successiva sentenza è stata integralmente confermata la decisione di primo grado, ritenendosi collegata la presunzione di capacità contributiva non tanto alla proprietà dell’immobile, ma alla capacità di spesa sottesa, attribuita alla sola moglie, avendo quest’ultima partecipato all’atto e sostenuto l’esborso.
Con ricorso per cassazione la ricorrente ha impugnato la sentenza di secondo grado e l’Agenzia delle Entrate si è costituita tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
Il primo motivo di ricorso, con cui si è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 177 cod.civ., dovendosi ritenere il prezzo dei beni acquistati dai coniugi in regime di comunione legale “pagato da entrambi quale ulteriore manifestazione della contitolarità e comproprietà di tutto quanto si forma in costanza di matrimonio”, è infondato.
Il secondo motivo di ricorso, invece, risulta inammissibile in quanto nella prima parte del motivo si denuncia non l’omessa motivazione in ordine ad un fatto storico, ma in ordine alla mancata applicazione del regime giuridico della comunione, per cui la censura è ascrivibile alla violazione di legge e risulta, peraltro, del tutto coincidente con quella di cui al primo motivo.
Nell’accertamento sintetico il maggior reddito viene desunto da una spesa sostenuta, per cui la rettifica si fonda su un procedimento logico a ritroso incentrato sulla presunzione secondo cui il costo è sopportato, salvo prova contraria, con il reddito del periodo d’imposta o di quelli immediatamente precedenti. Pertanto, anche in caso di incremento patrimoniale (nella specie, investimento immobiliare), la presunzione di una maggiore capacità contributiva deriva non dalla titolarità del nuovo bene, ma piuttosto dall’esborso effettuato.
Ne consegue che, in caso di acquisto da parte di una persona in regime di comunione legale, non conta, ai fini presuntivi, la circostanza che il bene sia, a prescindere dalla partecipazione all’atto e/o dalla formale intestazione, in comproprietà di entrambi i partners, ma piuttosto la provenienza delle somme usate per il pagamento del corrispettivo, unico elemento indiziario che può giustificare l’accertamento a carico di entrambi o di uno soltanto dei coniugi, dei civilmente uniti o dei conviventi che abbiano optato per tale regime.
In conclusione, ai fini dell’accertamento sintetico di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione a spesa per incrementi patrimoniali, l’esborso per l’acquisto di un bene in comunione legale può legittimamente essere considerato dall’Amministrazione finanziaria come sostenuto esclusivamente dal partner che abbia da solo stipulato il contratto e pagato il prezzo, salva la prova contraria da parte del contribuente, atteso che dal regime della comunione legale non deriva alcuna presunzione relativamente alla provenienza comune delle somme utilizzate per i nuovi acquisti.
Link all’articolo originale