Il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata e inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite tassativamente dall’art. 360, co. 1, c.p.c., pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o, l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.
Il Tribunale di Roma aveva respinto l’impugnativa – rigetto confermato anche in grado d’appello – di una serie di licenziamenti all’esito d’una procedura di riduzione di personale ex lege n. 223/91.
Con il primo motivo di ricorso in Cassazione, gli interessati denunciano vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla lamentata scorrettezza della procedura di mobilità, dapprima iniziata per 93 posizioni lavorative, poi ridotte a 41, ma in realtà sostanzialmente finalizzata ad eliminare dalla compagine sociale i ricorrenti in quanto lavoratori scomodi perché determinati a far valere i propri diritti. Il motivo è stato però disatteso in Cassazione perché sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento.
Il secondo motivo censura la sentenza per omessa motivazione in ordine ad un fatto controverso per il giudizio, consistente nel carattere discriminatorio e punitivo dell’espulsione dei ricorrenti, nonostante che essi avessero dimostrato che la società, pur licenziando, alla fine, soltanto 4 dipendenti ritenuti in esubero, aveva contemporaneamente ricercato sul mercato del lavoro nuove posizioni. Il motivo è stato considerato infondato perché, in realtà, la sentenza impugnata ha implicitamente risposto nel momento in cui ha considerato non arbitrari né discrezionali i criteri applicati nell’individuare i lavoratori in esubero.
Con il terzo motivo si lamenta l’omessa motivazione in ordine alla mancata ammissione dei mezzi di prova (come i libri paga e matricola, ora LUL) intesi a dimostrare l’aumento dei ricavi (contrariamente a quanto sostenuto dalla società), le nuove assunzioni durante l’espletamento della procedura di mobilità in corso di procedura. Anche tale motivo è inammissibile perché deduce come vizio di motivazione quello che, invece, deve qualificarsi come error in procedendo. Già precedentemente infatti si era affermato che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata e inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla norma citata, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o, l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.
Pertanto, si deve dichiarare inammissibile il gravame che lamenti un vizio di motivazione anziché un motivo di nullità della sentenza per violazione di legge processuale.
Infine, il quarto motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 4 legge n. 223 del 1991 circa le modalità applicative dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e la formazione della relativa graduatoria. Anche rispetto a tale doglianza vale quanto sopra affermato, i ricorrenti sostanzialmente sollecitano una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento, che richiederebbe un accesso diretto agli atti e una loro delibazione non consentita in sede di legittimità.
In conclusione, il ricorso è da rigettarsi (Cassazione n. 18666/2017).