L’esercizio di professioni in forma societaria costituisce – ex lege – presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, questa essendo implicita nella forma di esercizio dell’attività (Corte di Cassazione – Ordinanza 27 giugno 2017, n. 15992).
La Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTR che, confermando la decisione della CTP, ha ritenuto che, ai fini IRAP, il professionista abbia svolto, effettivamente, la propria attività di medico dentista in assenza di organizzazione propria e con mezzi messi a disposizione dalla società che gestisce l’ambulatorio.
La Corte sottolinea che la soggettività passiva d’imposta è riferita al professionista quale persona fisica esercente la professione di odontoiatra, si rammentano i principi regolativi, laddove si afferma che l’esercizio di professioni in forma societaria costituisce – ex lege – presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, questa essendo implicita nella forma di esercizio dell’attività. Il giudice di merito, dunque, può desumere l’esistenza di un’autonoma organizzazione dal fatto che l’esercente attività autonoma si avvalga di una compagine di supporto, previo accertamento giudiziale della natura, ossia della struttura e della funzione, del relativo rapporto giuridico. Infatti, al di fuori da ogni automatismo fiscale, resta compito esclusivo del giudice di merito quello di accertare – ai fini della sussistenza del requisito impositivo in capo a professionista svolgente attività nel contesto di società partecipata con avvalimento dei beni strumentali della stessa – se e in che modo attraverso tale tipo di organizzazione egli fosse in grado d’incrementare le proprie capacità reddituali.
La CTR ha escluso la sussistenza del requisito impositivo erroneamente affermando, in punto di diritto che la circostanza che, nell’anno d’imposta, il medico fosse direttore sanitario della struttura all’interno della quale svolgeva la sua attività — ovvero che fosse socio o amministratore della compagine che gestiva l’ambulatorio — non era motivo per ritenere dovuta l’imposta non potendosi desumere da questi soli elementi che fosse pure il responsabile dell’organizzazione delle società. Ma, così argomentando, il giudice d’appello elude il thema decidendum e il thema probandum delineati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, omettendo di estendere l’accertamento giudiziale alla natura, alla struttura ed alla funzione del rapporto giuridico che lega il professionista alla compagine dove opera e al ruolo ivi concretamente rivestito.
Né rileva che l’assenza del presupposto impositivo in capo al contribuente possa essere stata riconosciuta dalla Cassazione per altri anni d’imposta e in contesti processuali e decisionali differenti. Va data, infatti, continuità al principio di diritto secondo cui le sentenze, con le quali si accertano il contenuto e/o l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta, fanno stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per altre annualità solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi a una pluralità di periodi d’imposta (es. le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumano carattere tendenzialmente permanente; mentre non possono avere alcuna efficacia vincolante quando gli accertamenti relativi ai diversi anni si fondino su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli.
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