Omessa indicazione separata dei costi black-list in dichiarazione: confermata la deducibilità



Con la recente Ordinanza n. 28655/2018, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo il quale la mancata separata indicazione nella dichiarazione dei redditi delle spese inerenti ad operazioni intercorse con fornitori di Paesi black list non comporta di per sé la indeducibilità dei costi, ma è sanzionata come violazione di un obbligo formale

FATTO


L’Agenzia delle Entrate ha emesso avviso di accertamento nei confronti della società, rideterminando il reddito d’impresa, per effetto del recupero a tassazione dei costi per operazioni concluse con soggetti residenti in paesi con fiscalità privilegiata (Hong Kong), in considerazione della mancata indicazione separata di detti costi nella dichiarazione dei redditi, sulla base della normativa vigente per il periodo d’imposta esaminato (2002).
Su ricorso della società i giudici tributari hanno confermato la legittimità della pretesa tributaria.

DECISIONE DELLA CASSAZIONE


Riformando la decisione dei giudici tributari, la Corte di Cassazione ha dichiarato la deducibilità dei costi “black list” in presenza della prova di operatività dell’impresa estera contraente e della effettività della transazione commerciale, anche se i costi non risultano separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi.
Secondo la disciplina originaria in materia, la deducibilità di costi relativi ad operazioni con soggetti localizzati in territori “black list”, era subordinata (anche) alla separata indicazione degli stessi in apposito quadro della dichiarazione dei redditi.
I giudici della Suprema Corte hanno osservato che, tuttavia, i successivi interventi normativi hanno declassato la separata indicazione nella dichiarazione dei redditi delle spese e degli altri componenti negativi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi “black list”) ad un mero obbligo formale, che non ne condiziona la deducibilità.
In altri termini, la violazione riguardante la separata indicazione di detti costi in dichiarazione determina l’applicazione di una sanzione amministrativa (pari al 10% dell’importo complessivo dei costi, con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000), ma non costituisce causa di indeducibilità dei medesimi costi, in presenza delle altre condizioni necessarie (commercialità ed effettività delle operazioni).
In proposito, la Corte di Cassazione ha precisato che in tema di reddito d’impresa, la nuova formulazione che non considera più la separata indicazione nella dichiarazione dei costi black list quale condizione vincolante per la deducibilità, si applica con effetto retroattivo anche in relazione ad operazioni effettuate prima delle modifiche normative.
D’altra parte, hanno sottolineato i giudici della Suprema Corte, a seguito della contestazione della mancata dichiarazione autonoma dei compensi corrisposti a fornitori operanti in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi “black list”), resta preclusa ogni possibilità di regolarizzazione mediante presentazione di una dichiarazione integrativa. In caso contrario, infatti, la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni amministrative previste per inosservanza della correlativa prescrizione.
In conclusione, la deducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. “black list”) deve ritenersi subordinata soltanto alla prova di operatività dell’impresa estera contraente e della effettività della transazione commerciale, mentre l’omessa separata indicazione di detti costi in dichiarazione costituisce una mera violazione formale. Tale principio si applica con effetto retroattivo rispetto al previgente regime di indeducibilità.





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