Per poter qualificare come atto di transazione l’accordo tra lavoratore e datore presso la sede sindacale è necessario che contenga lo scambio di reciproche concessioni, sicché, ove manchi l’elemento dell’ “aliquid datum, aliquid retentum”, essenziale ad integrare lo schema della transazione, questa non è configurabile.
La corte d’appello di Lecce ha parzialmente accolto l’appello del dipendente contro la sentenza del Tribunale che aveva respinto le domande della lavoratrice. La corte, in particolare, ha escluso che il verbale di conciliazione sindacale sottoscritto dalle parti contenesse una reale transazione, ritenendo trattarsi esclusivamente di una dichiarazione di scienza della lavoratrice, da considerarsi quale semplice “quietanza a saldo” della somma relativa al TFR spettante ed erogatale in tale sede.
Avverso tale la sentenza, la società datrice di lavoro ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
I primi due motivi, sui quali ci si sofferma, hanno riguardato: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., per avere la corte territoriale ritenuto che la conciliazione contenesse una mera dichiarazione di scienza invece che una consapevole rinuncia della lavoratrice ad ogni ulteriore pretesa nei confronti della datrice di lavoro; 2) la violazione dell’art. 2113 comma IV c.c. per non avere considerato la corte di merito che, trattandosi di una conciliazione avvenuta in ambiente sindacale e quindi protetto, non poteva applicarsi la disciplina relativa all’impugnazione delle rinunce e transazioni ai sensi dei primi tre commi dell’art. 2113 c.c.
La Cassazione ha considerato i motivi infondati in quanto: più volte è stato rilevato che ai fini della qualificazione di una dichiarazione liberatoria sottoscritta dalla parte come quietanza o piuttosto come transazione, occorre considerare che la quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa costituisce, di regola, una semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell’interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti, e che pertanto concreta una dichiarazione di scienza priva di alcuna efficacia negoziale. Nella dichiarazione liberatoria sono ravvisabili invece gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in senso stretto soltanto quando per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili aliunde, risulti che la parte l’abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti. Spetta al giudice di merito qualificare il documento sottoscritto dalle parti come transazione e non come semplice quietanza liberatoria, avuto riguardo agli elementi di fatto presi in considerazione, derivanti sia dal documento sia da altre specifiche circostanze desumibili aliunde, elementi che ove esaminati correttamente con motivazione esente da vizi, non possono essere rimessi in discussione in questa sede.
Nel caso in esame la corte di merito ha rilevato che, sebbene le parti avessero siglato una transazione presso la sede sindacale e l’accordo fosse stato siglato anche dal rappresentante sindacale, la lavoratrice aveva accettato esclusivamente il pagamento del TFR ed a fronte di tale pagamento aveva dichiarato di non avere più nulla a pretendere dalla ditta, ritenendo “transatte e rinunciate tutte le azioni”, in particolare non avendo la M. espresso alcuna volontà di volersi privare di diritti specifici e determinati o determinabili.
Per poter qualificare come atto di transazione l’accordo tra lavoratore e datore è necessario che contenga lo scambio di reciproche concessioni, sicché, ove manchi l’elemento dell’ “aliquid datum, aliquid retentum”, essenziale ad integrare lo schema della transazione, questa non è configurabile. Nel caso in esame la lavoratrice a seguito della sua rinuncia a qualsiasi ulteriore pretesa derivante dal pregresso rapporto di lavoro , non ha ottenuto null’altro che il TFR , diritto che le era già riconosciuto per legge.
A nulla rileva, peraltro, che la transazione sia stata effettuata in sede sindacale atteso che, perché possa applicarsi il IV comma dell’art. 2113 c.c., che esclude la possibilità di impugnativa delle conciliazioni sindacali, deve pur sempre trattarsi di un atto qualificabile come transazione e non di una mera quietanza liberatoria.
Il ricorso è stato pertanto rigettato (cfr. Cassazione n. 28448/2018).