Professionisti: per l’utilizzo operativo di studi di terzi niente IRAP




Non è soggetto ad IRAP il professionista che, collaborando presso importanti studi legali, utilizza la struttura organizzativa ai fini operativi (Corte di Cassazione – Sez. trib. – Ordinanza 21 novembre 2018, n. 30067).

La Suprema Corte accoglie il ricorso proposta dal contribuente avverso la sentenza depositata dalla CTR.
Nell’esercizio della attività libero-professionale di avvocato riceveva la notifica della cartella di pagamento, con cui gli era chiesto il versamento a titolo di IRAP.
Contestando i presupposti di assoggettamento all’imposta, aveva adito la Commissione Tributaria Provinciale, che con sentenza accoglieva il ricorso. L’Agenzia ricorreva dinanzi alla Commissione Regionale che con la pronuncia ora impugnata accoglieva l’appello.
Per il ricorrente la CTR erroneamente presume la sua adesione ad una associazione e la presenza di altri colleghi nel suo studio.
Nel caso di specie, il giudice tributario d’appello ha riconosciuto la sussistenza dei presupposti dell’imposta nei confronti del contribuente, esercente attività di avvocato, affermando che il libero professionista che si associa, anche solo di fatto, ad altro, usufruendo della “struttura amministrativa di quest’ultimo, ossia di un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico siano suscettibili di creare valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know how del professionista medesimo, è soggetto all’imposta de qua; corollario di detto principio è la necessità di dimostrare -onere da assolversi dal contribuente – che il professionista stesso, aderente ad una associazione professionale, non fruisca, giusto l’id quod plerumque accidit, dei benefici organizzativi notoriamente conseguibili per effetto dell’esercizio della professione in forma collettiva che possono giustificare il quid pluris di capacità contributiva oggetto del prelievo IRAP. E ancora, proseguendo, ha sostenuto che a tale del tutto condivisibile indirizzo giurisprudenziale deve aggiungersi la situazione di fatto che vede l’avvocato titolare di un proprio studio con la notoria presenza di altri colleghi e, dunque, di nuovo con una struttura organizzativa non certo trascurabile.
La motivazione del giudice regionale si fonda dunque sulla appartenenza del ricorrente ad uno studio associato, nonché sulla disponibilità di altro studio con “notoria presenza di altri colleghi”. Sennonché i due elementi cui fa riferimento la pronuncia sono contestati dalla difesa del professionista, perché non rilevati da alcuno degli elementi allegati al giudizio. Peraltro la stessa Agenzia da indirettamente conferma della assenza di un rapporto associativo professionale del contribuente, tanto da precisare nel proprio controricorso, nel tentativo evidente di offrire una interpretazione coerente della motivazione del giudice regionale, che questi abbia voluto intendere l’assoggettamento del professionista ad IRAP qualora associandosi anche solo di fatto ad altro, usufruisca della struttura amministrativa di quest’ultimo. Sennonché questo tentativo di interpretazione della sentenza contrasta con il tenore della motivazione stessa, senza poi considerare il diverso orientamento sostenuto dalla citata più recente giurisprudenza.
Priva di valore è anche l’affermazione che il ricorrente avrebbe la disponibilità di altro studio con “notoria” presenza di altri professionisti. Non è infatti comprensibile quale sia il fondamento di tale notorietà, né assume di per sé rilevanza la disponibilità di un secondo studio, quando tali strutture siano semplicemente strumentali ad un migliore e più comodo esercizio dell’attività professionale.
In conclusione la sentenza non fa corretta applicazione delle norme che regolano l’assoggettamento all’IRAP del professionista, alla luce della interpretazione resa dalla giurisprudenza.





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