Indennità di maternità per le lavoratrici libere professioniste




Il Ministero del lavoro fornisce chiarimenti in merito all’interpretazione dell’articolo 70, comma 2, del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, concernente la base di calcolo del reddito della libera professionista ai fini della determinazione dell’indennità di maternità spettante alla stessa, relativamente all’ipotesi in cui essa rientri in Italia dopo aver svolto continuativamente un’attività lavorativa o aver conseguito un titolo di studio all’estero.


L’articolo 70, d.lgs. n. 151/2001 riconosce alla madre libera professionista, iscritta ad un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza (e in caso di sua mancanza, al padre che sia libero professionista) un’indennità per i due mesi antecedenti e i tre successivi al parto. Il comma 2, stabilendo la misura di tale indennità nella percentuale pari “all’ottanta per cento di cinque dodicesimi del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali […]” mira a garantire un adeguato grado di sostitutività dell’indennità rispetto al reddito durante il periodo protetto, al fine di evitare un trattamento meno favorevole e – conseguentemente – discriminatorio, collegato allo stato di gravidanza o di maternità.
La legge n. 238/2010, per altro verso, stabilisce che i redditi di lavoro dipendente, i redditi d’impresa e quelli di lavoro autonomo percepiti dai cittadini dell’Unione europea che – dopo aver risieduto per almeno due anni in Italia ed aver lavorato o conseguito un titolo di studio all’estero – siano assunti o inizino un’attività autonoma in Italia, concorrano alla formazione della base imponibile nella misura, rispettivamente, del 20 per cento per le lavoratrici e del 30 per cento per i lavoratori. Allo stesso modo l’articolo 16, comma 1, del d.lgs. n. 147/2015 prevede che, a determinate condizioni, i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che vi trasferiscono la residenza, concorrano alla formazione del reddito complessivo limitatamente al cinquanta per cento del suo ammontare.


Trattasi dunque di disposizioni la cui ratio è ben sintetizzata dall’articolo 1, comma 1, della legge 238 citata, il quale individua come finalità dell’intervento normativo quella di “[…] contribuire allo sviluppo del Paese mediante la valorizzazione delle esperienze umane, culturali e professionali maturate dai cittadini dell’Unione europea che hanno risieduto continuativamente per almeno ventiquattro mesi in Italia […]” e che decidano di farvi ritorno. A tale scopo, il legislatore ha previsto incentivi fiscali sotto forma di riduzione della base imponibile del reddito.
Pertanto, una professionista madre, che abbia i requisiti per accedere agli incentivi fiscali previsti dalle citate disposizioni, continua ad aver diritto alla parametrazione dell’indennità di maternità al “reddito pieno” percepito prima dell’inizio del periodo di cui all’articolo 70, comma 1, del decreto legislativo n. 151, proprio al fine di realizzare le tutele individuate dal legislatore nei confronti delle lavoratrici madri. Tale reddito, effettivamente “percepito e denunciato” continua a costituire, peraltro, la base imponibile per il versamento dei contributi di previdenza obbligatoria, posto che la legge 30 dicembre 2010, n. 238, nonché il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, dispongono esclusivamente benefici fiscali.
Diversamente, ove si considerasse quale base imponibile ai fini previdenziali il reddito “abbattuto” ai fini fiscali, la professionista che goda dei suddetti incentivi verrebbe a maturare, in corrispondenza, prestazioni pensionistiche proporzionalmente ridotte, senza in definitiva fruire di alcun beneficio.





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