IRAP: istanza di rimborso per il professionista




I terzi cui il professionista aveva erogato compensi non erano suoi collaboratori abituali e continuativi, bensì professionisti (notai o avvocati di altri fori che avevano prestato, in via autonoma ed occasionale, la loro attività quali domiciliatari) (CORTE DI CASSAZIONE – Sez. trib. – Ordinanza 15 gennaio 2019, n. 719)

Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte l’avvocato presentava all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate una istanza tendente ad ottenere il rimborso dell’IRAP versata per alcuni anni di imposta.
Il predetto Ufficio non dava seguito alla richiesta, pertanto, il contribuente proponeva ricorso avverso il silenzio rifiuto, sostenendo il proprio diritto a conseguire il rimborso sul presupposto che, a suo avviso, l’imposta non era dovuta, poiché l’attività di avvocato era svolta a livello individuale con pochi mezzi e strutture lavorative limitate.
L’Ufficio si costituiva in giudizio, affermando che, con riferimento al ricorrente, si configurava l’ipotesi dell’autonoma organizzazione.
La CTP di Napoli rigettava il ricorso, ritenendo che la documentazione prodotta dal professionista non consentisse di escludere l’esistenza della detta autonoma organizzazione richiesta per la sottoposizione all’imposta in oggetto.
Avverso tale sentenza il contribuente proponeva appello.
Con sentenza, la CTR di Napoli rigettava l’appello, sulla base delle seguenti considerazioni:
a) non vi era prova che il contribuente avesse svolto la propria attività avvalendosi di organizzazioni altrui, dovendosi da ciò evincere che l’avesse esercitata in assoluta autonomia;
b) non era stata dimostrata, da parte dell’appellante, l’occasionalità dei redditi percepiti, che derivavano, invece, dalla sua capacità di auto-organizzarsi per far fronte alle richieste di clienti propri ed utilizzando strutture (ufficio e suppellettili) proprie, nonché disponendo in assoluta autonomia del proprio tempo, senza dover rendere conto ad alcuno;
c) infine, il rapporto tra i ricavi dell’attività professionale e le spese, anche in considerazione della composizione dei costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività (desumibili dalle dichiarazioni), dimostravano l’esistenza di una adeguata organizzazione volta al conseguimento di un valore aggiunto derivante da una autonoma attività professionale soggetta ad IRAP;
d) da ultimo, il contribuente aveva posto in essere un’attività della quale era unico responsabile, non essendo inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità, e sosteneva spese adeguate alle proprie esigenze.
L’avvocato ha poi proposto ricorso per la cassazione della sentenza, sulla base di due motivi, di cui solo il seguente risulta fondato: il ricorrente deduce il vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia per aver la CTR omesso di esaminare la documentazione allegata ad una delle memorie illustrative da lui depositate nel giudizio di primo grado, dalla quale emergeva che i terzi cui egli aveva erogato compensi non erano suoi collaboratori abituali e continuativi, bensì professionisti (notai o avvocati di altri fori che avevano prestato, in via autonoma ed occasionale, la loro attività quali domiciliatari).
Al riguardo la Suprema Corte ribadisce che il presupposto per l’applicazione dell’IRAP è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Tale requisito ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture riferibili ad altri; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
È stato chiaramente precisato che l’entità dei compensi percepiti dal contribuente e, cioè, l’ammontare del reddito conseguito, è irrilevante ai fini della ricorrenza del presupposto dell’autonoma organizzazione. D’altro canto, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (spese alberghiere o di rappresentanza, assicurazione per i rischi professionali o il carburante utilizzato per il veicolo strumentale) e, pertanto, rappresentare un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo.
Ciò debitamente premesso, va rilevato, da un lato, che gli elementi valorizzati dalla CTR sono neutri (l’adeguatezza delle spese sostenute dal contribuente rispetto alle proprie esigenze) o, addirittura, di per sé irrilevanti e, comunque, generici (il fatto che l’avvocato sia “unico responsabile” dello studio e che goda di assoluta autonomia nella gestione del proprio tempo), sicché la motivazione sui cui la sentenza si fonda risulta meramente apparente; dall’altro, che il giudice d’appello ha omesso di valutare documenti che, con certezza, avrebbero potuto incidere sulla decisione finale, nel senso di escludere il ricorso ad una collaborazione esterna abituale e continuativa e, dunque, uno dei requisiti indefettibili per configurare l’autonoma organizzazione in capo al professionista.






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