Il licenziamento per essere considerato ritorsivo deve costituire ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore, mentre quest’ultimo ha l’onere di indicare e provare i profili specifici da cui desumere l’intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso.
Una Corte di appello territoriale, confermando la sentenza del tribunale di prime cure, aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore; in particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto che alcuna finalità ritorsiva era presente nel recesso oggetto del giudizio, determinato dalla ingiustificata e prolungata assenza del lavoratore (dall’agosto 2013 al gennaio 2014), poiché il rifiuto dello stesso a prestare attività lavorativa nella sede assegnata a seguito del subentro nell’appalto a cui era preposto, non era giustificato. Dal canto suo, invece, il lavoratore aveva giustificato la circostanza del proprio rifiuto ad eseguire la propria prestazione quale legittima reazione all’inadempimento del datore di lavoro, concretizzatosi nella variazione di sede, a seguito dell’esecuzione di un provvedimento di reintegra in relazione a un altro giudizio che aveva riguardato un suo precedente licenziamento.
Avverso detta decisione, il lavoratore propone ricorso in Cassazione lamentando che la sentenza impugnata avesse valutato solo la data di notifica della predetta sentenza contenente l’ordine di reintegrazione, al fine di individuare l’avvenuta conoscenza da parte della società.
Per la Suprema Corte il ricorso non è fondato. Secondo l’orientamento costante, infatti, il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta, assimilabile a quello discriminatorio, costituisce l’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l’unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni. Al riguardo, il lavoratore deve indicare e provare i profili specifici da cui desumere l’intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso, atteso che in tal caso la doglianza ha per oggetto il fatto impeditivo del diritto del datore di lavoro di avvalersi di una giusta causa o di un giustificato motivo, pur formalmente apparenti.
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