Con la recente Sentenza n. 1304/2018, la Corte di Cassazione ha affermato che sono deducibili, secondo il criterio di competenza, nell’esercizio in cui sono effettuati gli accantonamenti, i costi sostenuti per l’attuazione di piani di incentivazione dei promotori finanziari, liquidati al termine del rapporto di lavoro e legati al rispetto di un patto di fedeltà.
La controversia esaminata dalla Corte di Cassazione riguarda il recupero a tassazione di costi dedotti dalla società contribuente, sostenuti per finanziare due piani di incentivazione dei propri promotori finanziari:
– uno, che riconosceva al promotore il diritto ad un premio investito in prodotti previdenziali/assicurativi, se in possesso di specifici requisiti (età non ancora pensionabile ad una determinata data; portafoglio clienti superiore a 15 milioni di euro). La materiale erogazione del premio era differita di dieci anni ovvero alla data più prossima di raggiungimento dell’età pensionabile. Lo stesso, però, non era riconosciuto nell’ipotesi di mancato rispetto di specifiche condizioni (preavviso di recesso dal contratto 12 mesi prima; cancellazione dall’albo dei promotori entro 3 mesi dalla cessazione del rapporto con la Società; astensione dall’esercizio nei successivi 24 mesi di un’attività concorrenziale nei confronti della Società);
– un altro, che riconosceva al promotore il diritto ad un premio in caso di raggiungimento degli obiettivi prefissati all’inizio di ogni anno. Anche per questo la materiale erogazione era differita al raggiungimento di una specifica anzianità di servizio. Era prevista, tuttavia, la perdita del diritto al premio in caso di mancato rispetto, al momento della risoluzione del rapporto, dell’obbligo di non concorrenza, nonché dell’obbligo di cancellazione dall’albo dei promotori entro tre mesi dalla cessazione del rapporto con la società.
In relazione al periodo d’imposta oggetto di verifica, l’Ufficio ha recuperato a tassazione gli accantonamenti effettuati dalla società per l’attuazione di detti piani di incentivazione, sul rilievo dell’errata identificazione dell’esercizio di competenza con quello di accantonamento, stante l’incertezza di effettiva erogazione dei premi, condizionata dal rispetto di specifiche condizioni (cd. “patto di fedeltà”) verificabili solo a posteriori.
La Corte di Cassazione, invece, accogliendo il ricorso della società contribuente, ha affermato che:
– questa tipologia di fondi, per natura e finalità cui sono destinati, può trovare sistemazione nella categoria generale dei fondi “per rischi e oneri”, esposti nel passivo dello stato patrimoniale (comprensivi di quelli per trattamento di quiescenza ed obblighi simili, tra cui si rinvengono appunto i “fondi di indennità per cessazione di rapporti di agenzia, rappresentanza, ecc., i fondi di indennità suppletiva di clientela, i fondi per premi di fedeltà riconosciuti ai dipendenti” secondo la classificazione prevista nel principio contabile OIC 19);
– in relazione a tali fondi, la previsione regolamentata di condizioni al cui verificarsi segua la perdita del trattamento premiale differito alla cessazione del rapporto non esclude la deducibilità dei relativi accantonamenti secondo il principio di competenza;
– è irrilevante l’aleatorietà della percezione del trattamento integrativo premiale, che certo non incide sulla natura delle condizioni al cui verificarsi il beneficio può andare perduto, le quali restano risolutive e non sospensive.
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