Decesso del titolare, quando gli atti di gestione possono dar luogo all’accettazione tacita dell’azienda




Affinché un atto del chiamato all’eredità possa configurare accettazione tacita, è necessario che esso presupponga necessariamente la sua volontà di accettare e che si tratti di atto che egli non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede. In proposito, non solo gli atti dispositivi, ma anche gli atti di gestione possono dar luogo all’accettazione tacita dell’eredità, secondo l’accertamento compiuto caso per caso dal giudice di merito, in considerazione della peculiarità di ogni singola fattispecie e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui natura, importanza e della finalità degli atti compiuti dal chiamato.


Una sede Inps notificava a due soggetti, quali asseriti eredi di un titolare di ditta individuale, un decreto ingiuntivo per il pagamento di una certa somma, a titolo di omesso pagamento di contributi e relative sanzioni; l’ingiunzione era fondata sulle denunce mensili ed annuali presentate all’Inps dal titolare, nonché sul verbale di accertamento ispettivo redatto nei confronti della società di fatto “eredi di XXX”.
In primo grado, le due distinte opposizioni proposte dagli ingiunti al predetto decreto monitorio venivano accolte dal giudice del lavoro; tale decisione era però riformata dalla Corte d’appello territoriale, secondo cui la circostanza che a seguito del decesso del titolare dell’officina i suoi eredi avessero continuato a gestirla come società di fatto “eredi di XXX” era idonea ad integrare l’accettazione tacita dell’eredità e, quindi, a ritenere gli eredi obbligati al pagamento dei debiti contributivi del de cuius.
Ricorrono così in Cassazione i soggetti ingiunti lamentando principalmente che la Corte territoriale li avesse erroneamente ritenuto eredi, nonostante gli stessi e, tantomeno la società di fatto, non avevano espressamente accettato l’eredità del defunto congiunto né avevano posto in essere atti di “pro herede gestio” idonei ad integrare una tacita accettazione della stessa.
Per la Suprema Corte il ricorso è infondato. Il chiamato all’eredità, infatti, che, a qualsiasi titolo, sia nel possesso dei beni ereditari deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità, in mancanza è considerato erede puro e semplice. Per possesso dei beni ereditari deve intendersi una relazione materiale intesa come situazione di fatto, anche circoscritta ad uno solo dei beni ereditari, che consenta l’esercizio di concreti poteri su di essi. Inoltre, è principio pacifico quello secondo il quale affinché un atto del chiamato all’eredità possa configurare accettazione tacita, è necessario che esso presupponga necessariamente la sua volontà di accettare e che si tratti di atto che egli non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.





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